Data Protection Officer, rischio confusione tra privacy e security
Regolamento UE 2016/679 prescrive che il responsabile della protezione dei dati deve essere designato sulla base della conoscenza specialistica della normativa, concetto ribadito anche dalle Linee Guida dei Garanti UE, adesso tradotte in italiano. Studio in corso evidenzia però che molte imprese attribuiscono la funzione di DPO al proprio IT manager, configurando situazione di conflitto d'interessi. Tempo per rimediare fino al 25 maggio 2018
Firenze, 6 febbraio 2017 - Il criterio di individuazione che devono seguire tutte le pubbliche amministrazioni e le migliaia di aziende private che hanno l'obbligo di dotarsi di un "data protection officer" è chiaramente espresso nell'art. 37 del Regolamento UE 2016/679, dove è prescritto che il responsabile della protezione dei dati deve essere "designato in funzione delle qualità professionali, in particolare della conoscenza specialistica della normativa e delle prassi in materia di protezione dei dati", concetto ribadito anche nelle raccomandazioni contenute nelle Linee Guida 16/EN WP 243 approvate dal Gruppo dei Garanti europei, ora tradotte in italiano a cura dell'Authority italiana.
Eppure, in base ai risultati che stanno emergendo da uno studio attualmente in corso, sembra che le imprese stentino ancora a mettere a fuoco la tematica, rivelando una certa difficoltà a distinguere perfino la differenza sostanziale tra la conformità alla normativa sulla protezione dei dati personali e la security, ramo dell'informatica che si occupa invece delle analisi delle minacce, delle vulnerabilità e dei rischi associati agli asset informatici al fine di proteggere i dati dai potenziali attacchi. Non sono infatti poche le società italiane che affidano l'incarico di data protection officer ad una risorsa del proprio reparto IT, oppure quelle che nel processo di selezione del DPO cercano prevalentemente le competenze informatiche, trascurando d'altra parte le conoscenze giuridiche, indispensabili per districarsi trai meandri della normativa per evitare sanzioni che con il nuovo Regolamento Europeo potranno arrivare fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo dei trasgressori.
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Fonte: federprivacy.it