Finestre aperte? Nessuna privacy violata
Non ricorre il reato di illecite interferenze nella vita privata allorquando la persona i cui comportamenti siano stati filmati non abbia opportunamente schermato il perimetro della sua abitazione dagli occhi indiscreti dei terzi. Entro il concetto di ''vita privata'' svolgentesi nel domicilio, infatti, rientrano solo le azioni sottratte all'osservazione dall'esterno.
E' quanto emerge dalla sentenza n. 18035, depositata l'11 maggio 2012 dalla quinta sezione penale della Corte di Cassazione.
Il caso concreto sottoposto all'attenzione dei giudici ha visto un inquilino di una abitazione privata sporgere querela nei confronti di un suo vicino.
L'accusa mossa nei confronti del secondo è stata quella di aver filmato attimi della vita privata del querelante mentre quest'ultimo permaneva nella sua abitazione, oggetto, in quel momento, di una “indagine” tesa ad accertare l'abusività o meno della stessa da sottoporre successivamente all'attenzione del Comune.
Durante le riprese, infatti, la telecamera è stata orientata verso l'interno dello stabile, con conseguente disagio per il proprietario.
In primo grado l'imputato è stato condannato, anche sulla base delle sue stesse ammissioni sull'avvenuta realizzazione della registrazione, per il reato di cui all'articolo 615 bis del codice penale, ovverosia per illecite interferenze nella vita privata.
La Corte d'appello, tuttavia, ha riformato la sentenza impugnata mandando assolto l'imputato dal rimprovero mosso nei suoi confronti.
Secondo la Corte territoriale, infatti, i comportamenti del querelante registrati con la videocamera utilizzata dall'imputato non potevano dirsi “nascosti”, non essendo sottratti alla normale osservazione dall'esterno, dal che il reato non poteva dirsi integrato nei suoi elementi costitutivi così come vorrebbe la norma scritta dal legislatore.
La parte civile, del tutto contraria alla lettura della vicenda data dalla Corte di secondo grado, ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione insistendo per la condanna dell'imputato, il quale aveva pure ammesso, nel corso di un'assemblea condominiale, di aver filmato l'abitazione della persona offesa.
I giudici del Palazzaccio, nel rigettare l'istanza, hanno ricordato come il domicilio sia tutelato sotto il profilo della riservatezza solo nella misura in cui ciò che avviene entro il suo perimetro è reso non visibile all'esterno.
Di converso se i comportamenti della persona offesa, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, possono essere liberamente osservati senza ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non può dolersi di alcunché.
In tal senso la Corte di legittimità delimita la tutela della privacy a seconda dell'accortezza riposta dalla persona offesa nel sincerarsi che i suoi attimi di vita privata siano del tutto celati al mondo esterno.
Il reato in discussione, quindi, potrà dirsi integrato solo e soltanto laddove il domicilio sia stato reso opportunamente impenetrabile agli occhi indiscreti degli altri abitanti.
La sentenza in commento, che fa leva su alcuni precedenti del medesimo tenore, rischia di dare il via ad un sensibile decremento di tutela del bene “privacy” qualora lo stesso venga interpretato in modo serrato.
La regola adottata, infatti, cristallizza un concetto di autoresponsabilizzazione della persona offesa, alla quale viene chiesto di impedire ai terzi ogni accesso alla sua vita privata.
Se portata ad estreme conseguenze tale lettura potrebbe mandare indenni dalla condanna autori di filmati realizzate dalle pubbliche vie ogni qualvolta la finestra di casa rimanga aperta per l'inavvedutezza del proprietario.
(Sentenza Cassazione penale 11/05/2012, n. 18035)